L’urlo
Urlo afono
Suono scomposto, incapace di farsi parola, spezzato da tanto incomprensibile vivere, dissonante fino a tingersi di afonia contemporanea, sembra infrangersi contro barriere invisibili, inespugnabili.
Poi si ricompone vibrante, scava dentro la coscienza, vola verso solchi ignoti dell’anima, ormai sorda, travolta dall’oblio in cui finge di vivere.
Finché un urlo ritmato, violento e disperato, non ci desterà.
Luciano Puzzo
Io dico NO
Rifiuto di ascoltare il nulla.
Rifiuto di vedere immagini che non dicono.
Chiudo l’indifferenza fuori dalla mia porta.
Sento nostalgia di un luogo, di un amico,
mi rifugio nel mio io più intimo
urlando sommessamente il mio dissenso,
senza clamore apparente.
La vita che vedo scorrermi intorno è ormai
un immenso trompe-l’oeil dipinto con cinica lucidità.
Io dico NO.
Adesso, in questo preciso istante,
un NO deciso, senza incertezze, senza remore
né reticenze.
Luciano Puzzo
Mai come oggi l’urlo di Luciano Puzzo si rende necessario per ribadire l’opposizione all’acquiescenza delle nostre coscienze rispetto a temi di primaria, umana importanza, rappresentati da parole ormai abusate, e di conseguenza svuotate dell’originaria pregnanza di significato, a causa dell’uso troppo giornalistico che, se dal punto di vista divulgativo svolge una funzione positiva, troppo spesso diviene modaiolo e perfino scandalistico anche su temi riguardanti situazioni non accettabili. Per questo Luciano Puzzo lavora su parole e lettere alfabetiche, cercando di attualizzare la portata e l’efficacia comunicazionale del proprio lavoro, arrivando, negli ultimi anni, ad un grande equilibrio nel dosaggio di tutte le componenti espressive dell’opera e ad una personale sintesi, emotiva e concettuale, del messaggio: il “No”, declinato nelle possibilità significanti di “No now”, “No one”, “No off” e “Io dico no”. Il no come opposizione, il now come esigenza di svegliarsi e reagire immediatamente, il “No off” nel senso di non spegnere l’attenzione e finalmente “Io dico No”. Esplicitando il soggetto dell’urlo, infatti, l’autore ribadisce l’identificazione, in prima persona, dell’urlo con il soggetto stesso. E se da una parte tale meccanismo può essere riferito alla coraggiosa conquista dell’autore ad esporsi completamente con la propria arte, dall’altra può essere interpretato come riflesso in chi legge l’opera, in un gioco sottile di rimandi che utilizza modalità peculiari della pubblicità – nonché dell’arte – e arriva allo strato subcosciente dell’osservatore, istillando, nel tempo e in differita rispetto all’incontro con l’opera, il dubbio e la riflessione. Riflessione che può tradursi, auspicabilmente, in concreta re-azione. Eppure, nonostante l’accurata analisi e variegata realizzazione di tale presa di coscienza, nella stessa opera una forza uguale e contraria sembra agire, tanto che in talune installazioni più si fa grande l’urlo e più scoloriscono le lettere alfabetiche che lo rappresentano. Sarà forse lo sconforto dell’impotenza a incidere effettivamente sulla realtà odierna, oppure la rappresentazione grafica dello sbiadire dell’eco dell’urlo iniziale? Una tesi avvalorata dalla texture dell’alfabeto afono, che da anni Luciano Puzzo ha messo a punto per esprimere il proprio disagio al di là delle parole e al di là delle emozioni stesse: alfabeto afono, moltiplicato e sbiadito, che sottende ogni sua opera. Non contento, allora, Puzzo dilata ancora le sue superfici espressive in installazioni sinesteticamente sonore, evocando suoni e voci con colori e segni; realizza libri d’artista, scrive poesie e dichiarazioni d’intenti, trovando ideale corrispondenza con poeti-artisti come ad esempio Tomaso Binga (psudonimo di Bianca Menna). Arriva ad un’elaborazione grafica articolatissima, che conserva la vibrazione e il calore della stesura pittorica, del gesto e delle pennellate, pur nella trasmutazione a stampa a più strati e spesso con effetti lucido-opaco. Compito non facile nell’epoca della riproducibilità tecnica, ma per lui sfida vittoriosa e vincente, nel segno di un’originalità costante e di una ricerca sempre nuova. La perizia grafica non irrigidisce l’operato dell’autore, bensì viene aggiunta alla perizia pittorica originaria, condivisa con la vibratilità fotografica che caratterizza anche i soggetti da lui fotografati nel tempo (che costituiscono una parte importante della sua produzione artistica). Soggetti potenzialmente astratti, presi da angolazioni ravvicinate e ‘tagliati’ per focalizzare linee, texture e contrasti cromo-chiaroscurali, in uno scambio osmotico tra pittura e fotografia, che continua l’analisi compositiva rigorosamente astratta degli inizi, incentrata sull’estremizzazione grafica del “no” alfabetico. La tendenza a dividere la composizione verticalmente al centro, con una linea di sezione da cui partono diagonali tra loro collegate, viene confermata anche nelle ultime opere, dove la fotografia è presente in sezioni sottilissime o come sfondo costitutivo dell’opera, integrandosi perfettamente con il gesto e le linee della composizione. Forme semplici si stratificano ancora ai segni, o si inseriscono nei tracciati gestuali – imprimatur dell’artista – rimarcando punti emozionalmente più intensi.
Pochi colori in gradazione – nero e rosso innanzi tutto – poi bianco, ma soprattutto grigio, grigio nelle lettere di quell’alfabeto afono drammaticamente messo a punto dall’artista come grido sommesso e sconnesso, affastellato confusamente in un monologo interiore continuo e sottostante al pensiero, risultato di una presa di coscienza che urgentemente emerge, definendosi via via nel pensiero finito del “No Now”. Cornici nere, spesso quadrate, comprimono l’opera, rafforzando il premere dell’urgenza espressiva dei contenuti. Più riquadri, nelle installazioni, formano andamenti studiati, concepiti per ritmare la lettura dell’opera. Andamenti che solo in un secondo momento – contrariamente ad altri artisti – approcciano fisicamente l’osservatore e mai arrivano a mischiare coinvolgimento spaziale con il distacco concettuale e preciso del messaggio. Quella di Luciano è un’opera sinestetica, come dicevamo: acquisizioni ottiche (segni e colori) si “orchestrano” in un insieme di suoni, non solo perché l’autore si serve di lettere alfabetiche, ovvero di segni grafici tradizionalmente associati a suoni, ma anche perché l’artista, dopo lunga applicazione e studio, squisitamente fonde più livelli sensoriali di lettura, in un’opera linguisticamente ed artisticamente compiuta.
Per Luciano e per la società di oggi
Laura Turco Liveri